Il cacciatore, la vacca di mare e il ruolo del riccio.

La vacca di mare, anche nota come “Ritina di Steller” era un un mammifero marino erbivoro di notevole stazza: 10 tonnellate distribuite su 8 metri di lunghezza per 6 di circonferenza nel punto più ampio. Caratteristica che l’ha resa, dalla sua comparsa nel Pleistocene alla sua estinzione nel 1768, il mammifero più grande del mondo, ad esclusione di alcuni cetacei.

Fu classificata per la prima volta nel 1741 dal naturalista tedesco Steller, che la osservò sull’isola di Bering, dove approdò a seguito di un naufragio (l’isola, situata al largo della penisola della Kamčatka, fu così battezzata proprio perché il famoso esploratore danese Bering vi morì poco dopo il naufragio).

Per sopravvivere durante il soggiorno forzato i naufraghi ne uccisero un discreto numero e se ne cibarono traendo dai grassi della sua carne grande beneficio per la cura della malattie tipiche dei tempi e delle professioni marinare, come lo scorbuto.

Tornati sulla terraferma i superstiti raccontarono ai loro compatrioti, tra i quali vi erano molti cacciatori di pellicce, delle vacche di mare e della particolare resistenza e impermeabilità delle loro pelli. Così da quel momento, e per i 20 anni successivi, l’Isola di Bering diventò una sorta di scalo per i cacciatori nei loro viaggi dalla Kamčatka all’Alaska, luogo che al tempo era densamente popolato di animali dalle pellicce pregiate, quali otarie e lontre marine.

Sull’isola di Bering i cacciatori completavano l’assemblaggio delle loro imbarcazioni con le pelli di vacca di mare, che utilizzavano per fasciare l’intelaiatura dello scafo e renderlo più leggero e duttile di quello tradizionale in legno. Allo stesso tempo, coi resti dei mammiferi marini all’uopo uccisi, facevano anche scorte di carne per il viaggio e, con la parte interna della pelle, persino suole per le scarpe.

Per due secoli si è quindi pensato che l’estinzione delle vacche di mare, avvenuta già 27 anni dopo la loro classificazione, fosse da ricondurre allo sterminio compiuto dai naufraghi della spedizione Bering prima e dai cacciatori di pelli nel ventennio successivo.

In realtà nel 1980, la naturalista e scrittrice Delphine Haley ha fornito, al termine dei suoi studi sulla fauna marina dell’Alaska e delle isole del Mare di Bering, una spiegazione molto più complessa e affascinante.

Secondo tale teoria, le vacche di mare originariamente popolavano le zone costiere dell’Alaska e le isole Aleutine. Quando i nativi di quei luoghi cominciarono a cacciare le lontre marine, che si cibavano di ricci di mare, quest’ultimi crebbero di numero in modo esponenziale. Poiché il riccio si nutre di alghe kelp, alimento consumato anche dalle vacche di mare, queste, per non morire di fame, furono costrette a migrare verso l’arcipelago di cui fa parte l’Isola di Bering, dove crescono le stesse alghe, ma dove non non vi sono antagonisti echinodermi. Naturalmente, solo una minoranza di esse riuscì a compiere indenne la migrazione.

Pertanto, quando i naufraghi approdarono sull’isola, quella delle vacche di mare era già una specie ridotta e a rischio di estinzione. L’intervento mortale dei cacciatori, reso più rapido ed efficace dal fatto che quella generazione di mammiferi marini non fosse mai entrata in contatto con l’uomo e non ne conoscesse quindi la pericolosità, ha solo accelerato un processo cominciato per altri motivi.

In conclusione, se è vero che quando si verifica lo sconvolgimento di un ecosistema con l’alterazione della catena alimentare, se non è per un cataclisma, il primo imputato è sempre l’uomo, è altrettanto vero che i nessi di causalità non sono mai così elementari e banali.

 

Clicca qui per visionare le fonti dell’articolo