Stazioni fantasma

Con “stazione fantasma” si intende una stazione ferroviaria, generalmente sotterranea che, per motivi di manutenzione straordinaria o di cessata attività, viene soppressa ed è visibile al pubblico solo dai finestrini dei treni in transito.

Si ritiene che il termine derivi dal tedesco Geisterbahnhof, poiché questo fenomeno è universalmente associato alla chiusura di alcune stazioni della metropolitana berlinese in concomitanza dell’erezione del muro di Berlino.

Tra i vari problemi logistici che il regime della DDR dovette risolvere quando decise di isolare fisicamente Berlino Ovest dal resto del Paese c’era quello delle potenziali scappatoie. Principalmente queste erano i palazzi che avevano ingresso a Berlino Est e finestre su Berlino Ovest (di cui vennero murate le finestre, dopo diversi tentativi di fuga riusciti grazie ad atterraggi morbidi su materassi posizionati sui marciapiedi dagli abitanti di Berlino Ovest) e, per l’appunto, il sottosuolo.

La metropolitana venne tendenzialmente divisa in due tronconi, uno per l’Ovest e uno per l’Est ma, per come era configurata la rete, vi erano treni che servivano la popolazione dell’Ovest che dovevano necessariamente passare per il centro storico di Berlino Est. Quelle stazioni furono chiamate dai berlinesi dell’ovest Geisterbahnhof. 

Era persino previsto un protocollo che, in caso di guasto o emergenza proprio in corrispondenza di una di quelle stazioni, prevedeva che i passeggeri occidentali nemmeno in quel caso potessero scendere, ma dovessero aspettare l’arrivo della polizia. L’unica eccezione era la stazione di Friedrichstraße situata a Berlino Est, ma interscambio con altre linee di interesse per i passeggeri di Berlino Ovest. Qui essi potevano scendere in banchina per raggiungere altri treni e persino uscire, previo controllo doganale, come accade oggi in un qualsiasi aeroporto internazionale.

Ma nel mondo vi è anche almeno un caso di stazione fantasma che non lo è diventata, ma che è stata appositamente costruita per esserlo.

Si tratta della stazione di Seiryu Miharashi, della linea ferroviaria Nishigawa Seiryu, situata presso la presso la prefettura di Yamaguchi nell’isola di Honshu in Giappone.

La stazione è stata aperta nel Marzo del 2019 e vi si fermano solo treni speciali. Non vi sono strade o sentieri che la colleghino col più vicino centro abitato. Il suo scopo è quello di fornire un punto di osservazione sul fiume Nikishi e ricordare ai cittadini l’importanza di prendersi una pausa dai ritmi frenetici della vita lavorativa e fermarsi a meditare osservando le bellezze della natura.

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In tutte le città del mondo vi è un notevole quantitativo di stazioni fantasma, divenute tali per motivi che sono quasi sempre legati a logiche di rapporto costi/benefici. Uno degli esempi che sfugge a questa logica è quello della stazione della metropolitana di Kwangmyong a Pyongyang in Nord Corea, chiusa perché nell’edificio sovrastante è stato costruito il mausoleo di Kim II Sung.

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Il maiale da guerra

Una delle armi più ingegnose utilizzate dalla Regia Marina Italiana durante la Seconda Guerra Mondiale fu certamente il maiale.

“Maiale” era il termine gergale con cui veniva chiamato il Siluro a Lenta Corsa (SLC), un “sottomarino tascabile” pilotato da due operatori forniti di respiratori subacquei autonomi e utilizzato per trasportare una testata esplosiva da applicare alla carena di navi nemiche all’ormeggio.

Per quanto devastante, grazie al suo elevato rapporto tra potenziale distruttivo e costi di realizzazione, il SLC aveva notevoli limitazioni. Ridotta era la velocità (max 3 nodi), così come l’autonomia (15 miglia a 2.5 nodi). Ciò ne accorciava il raggio d’azione, costringendo il “sommergibile-madre” che li trasportava ad avvicinarsi il più possibile all’obiettivo, rendendo la missione particolarmente rischiosa. Una volta estratti i maiali da appositi cilindri a tenuta stagna alloggiati nella coperta del sommergibile-avvicinatore, i due incursori della Regia Marina vi si mettevano a cavalcioni e procedevano lentamente verso la nave nemica, dapprima tenendo la testa fuori dall’acqua ed in seguito immergendosi con i respiratori subacquei.

Una volta giunti sotto la nave nemica questi provvedevano a fissare la carica esplosiva con una cima assicurata alle alette di rollio della carena mediante delle tenaglie ed infine ad armarla regolando una spoletta orologeria.

L’azione di maggiore successo portata a termine con questo sistema causò l’affondamento, tra le altre, delle navi da battaglia britanniche HMS Valiant e HMS Queen Elizabeth nel 1941 presso il porto di Alessandria d’Egitto

 

A seguito di tale incursione i 6 eroi che portarono l’attacco vennero catturati dai britannici e i loro SLC appresi per essere esaminati allo scopo di realizzarne delle copie, poi nominate Chariots ed utilizzate dalla Royal Navy a partire dal 1942.

Dopo l’8 Settembre, ed un periodo di quasi due anni trascorso in un campo di prigionia alleato, Luigi Durand de la Penne, Emilio Bianchi, Antonio Marceglia, Spartaco Shergat, Vincenzo Martellotta e Mario Marino furono rilasciati, rimpatriati e inquadrati in Mariassalto, un’unità militare della Regia Marina del Regno del Sud. Nel 1944 a Taranto furono decorati con la medaglia d’oro al valor militare proprio dal commodoro Sir Charles Morgan, ex comandante della HMS Valiant.

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«…sei italiani equipaggiati con materiali di costo irrisorio hanno fatto vacillare l’equilibrio militare in Mediterraneo a vantaggio dell’Asse.»

Winston Churchill.

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Il SLC fu progettato dagli ufficiali del genio navale palombaro Teseo Tesei ed Elios Toschi nel 1935. Tesei morì proprio a bordo di un SLC durante un’azione a  Malta.

Il reparto d’elite di subacquei e incursori COMSUBIN, fiore all’occhiello della Marina Militare Italiana, è intitolato proprio a Teseo Tesei.

Si dice che il SLC sia stato battezzato “maiale” dal Tesei stesso che, vedendolo galleggiare con le sue forme tondeggianti, avrebbe impartito al suo secondo l’ordine scherzoso di “ormeggiare il salame (o il maiale)”.

 

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Un’utopia durata 55 giorni

Tra le utopie partorite dalla spinta ideale degli anni ’60 merita una menzione speciale la “Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose” (in esperanto Esperanta Respubliko de la Insulo de la Rozoj).

L’Isola delle Rose fu una micro-nazione (un’entità creata da una persona, o da un piccolo numero di persone, che si considera nazione o stato indipendente, ma che non è riconosciuta dai governi e dalle maggiori organizzazioni internazionali) i cui confini erano quelli di una piattaforma di 400 mq, eretta in acque internazionali al largo della costa adriatica Riminese. La sua storia ufficiale durò lo spazio di 55 giorni, dalla proclamazione di Indipendenza del 1 Maggio 1968 al giorno in cui lo Stato Italiano prese di fatto possesso della piattaforma, istituendo un blocco navale che, da quel momento, impedì a chiunque di attraccare o di salpare. Quest’ultimo particolare comportò che le uniche due persone residenti sulla piattaforma al momento della sua requisizione non potessero tornare sulla terra ferma per due settimane, sino a quando le autorità consentirono loro di sbarcare a Rimini.

Sebbene la sua pretesa di sovranità sia durata meno di due mesi, la storia dell’Isola delle Rose comincia molto prima, nel 1958, quando il geniale ingegnere bolognese Giorgio Rosa, spinto inizialmente dal semplice desiderio di realizzare un’architettura inedita, che non dovesse sottostare ai dettami e alle lungaggini della burocrazia italiana, cominciò a trasportare in mare i tubi d’acciaio che, una volta saldati fino a diventare 9 pali di circa 50 metri l’uno e piantati nel fondale marino per 40 metri, costituirono le fondamenta della piattaforma. I lavori durarono quasi dieci anni, stante la scarsità di mezzi, le difficoltà logistiche e l’opera di dissuasione della Capitaneria di Porto, che intimò a più riprese di sospendere i lavori. Nel 1967 fu gettata sopra i pali, a 8 metri sopra il livello del mare, una piattaforma di calcestruzzo armato di 20 metri per 20, che costituì il primo piano di una struttura che da progetto ne prevedeva cinque (ma di cui solo due vedranno la luce). Nell’Agosto dello stesso anno la piattaforma, dotata di area per lo sbarco dei battelli e scale per raggiungere i piani, aprì al pubblico.

All’atto della dichiarazione d’indipendenza, avvenuta circa 9 mesi dopo l’apertura al pubblico, la Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose si dotò di un proprio ordinamento (un presidente e 6 dipartimenti), di un proprio stemma (tre rose rosse disegnate su uno scudo sannitico bianco), di una propria bandiera (arancione con al centro il suddetto stemma), di un proprio inno (Timoniere! Smonta di guardia! celebre aria del terzo atto de “L’olandese volante” di Wagner), e naturalmente di una propria lingua: l’esperanto. La Repubblica istituì anche una valuta, le cui monete e banconote però non vennero mai coniate, e stampò 5 emissioni di francobolli.

Nella primavera del 1968 l’Isola fu interessata da un notevole traffico turistico. La circostanza cominciò ad attirare l’attenzione ai più alti livelli delle autorità italiane la cui preoccupazione era che si creassero precedenti di entità limitrofe allo Stato, ma gestite da italiani e rivolte a consumatori italiani che generassero reddito esentasse e, potenzialmente, anche una sorta di contrabbando legalizzato di merci. Simultaneamente, tra la gente si diffusero anche leggende quali quella che la piattaforma ospitasse una casa di appuntamenti e qualcuno, in delirio da guerra fredda, arrivò finanche ad ipotizzare che essa potesse fungere da avamposto per lo stazionamento di sottomarini sovietici.

Fu così che il 25 giugno 1968, il mattino successivo ad una conferenza stampa in cui fu annunciata al mondo la sua Indipendenza, la breve storia della Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose si concluse con l’intervento di Capitaneria di Porto e Guardia di Finanza che la circondarono e ne presero possesso.

Da quel momento fino all’11 Febbraio 1969 cominciò una battaglia legale e una campagna di stampa che vide esprimersi con pareri discordanti anche alte personalità, ma che si concluse inevitabilmente davanti ai 675kg di esplosivo con cui il Gruppo Operativo Subacquei della Marina Militare minò i pali della piattaforma allo scopo di farla implodere. La struttura tuttavia, a riprova della sua eccellenza ingegneristica, resistette alla carica e solo quando ne fu applicata una seconda mostrò segni di deformazione, senza tuttavia dare a suoi detrattori la soddisfazione di inabissarsi. Fu una burrasca due settimane dopo a farla inghiottire dal mare.

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Due su sei dipartimenti del Governo della Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose erano affidati a donne. Il Governo della Repubblica Italiana, presieduto da Leone ed entrato in carica il giorno precedente alla requisizione della piattaforma, era formato da 18 Ministri, tutti uomini.

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L’Ing. Lombi, a cui l’organo giudiziario competente affidò una perizia tecnica sulla struttura, rilevò che per i metodi all’avanguardia e la resilienza dei materiali con cui era stata costruita la piattaforma avrebbe potuto reggere il peso di 50 piani.

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L’imprenditore Peter Thiel, tra le altre cose co-fondatore di Paypal e noto pensatore libertario, nel 2009 è diventato finanziatore del Seasteading Institute. La missione dell’istituto è quella di promuovere la costruzione di isole artificiali galleggianti, collocate in acque oceaniche ad oltre 200 miglia marine dalle coste, per ospitare colonie di persone che vogliano condurre una vita alternativa e al di fuori dell’influenza dei governi.

 

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Ottobre 1983: Milan – Sampdoria 2-1

E’ una domenica calda e soleggiata, nonostante si sia già entrati nella seconda metà di Ottobre.

Arrivati sul piazzale il colpo d’occhio è straordinario. Stadio, Ippodromo del Trotto e Palasport, i tre templi dello sport meneghino (ora che il velodromo Vigorelli è chiuso) tutti raccolti in un unico spazio. Scelta urbanistica che risponde ad una visione di multi-disciplinarità e concentrazione di eventi in unico giorno, per offrire il massimo ad una città operosa durante la settimana, ma affamata di intrattenimento nel weekend. Oltre a Milan – Sampdoria, che si gioca nel primo pomeriggio, la sera scenderà sul parquet la Simac di Dan Peterson per affrontare la Binova Bergamo nella terza giornata di quello che passerà alla storia come l’ultimo campionato senza tiro da tre punti. Campionato che le “scarpette rosse” perderanno per la quarta volta consecutiva capitolando in una rocambolesca gara 3 (senza Meneghin squalificato), contro la Granarolo Bologna.
Manca poco all’inizio della partita e i parcheggi per le auto, che arrivano fino a 20 metri dalle cancellate dell’impianto, sono già pieni da ore. Lungo tutto il tragitto da piazzale Lotto, si incrociano bagarini che offrono biglietti a prezzi maggiorati a chi non ne è in possesso. Prezzi che scenderanno vertiginosamente al momento del fischio d’inizio, per chi si accontenta di entrare a partita cominciata. Una volta entrati, le gradinate dello stadio, intitolato a Meazza appena 3 anni prima, appaiono molto gremite, per una partita non di cartello. C’è del resto grande entusiasmo tra i tifosi milanisti per il ritorno in serie A e per vedere all’opera i nuovi acquisti, su tutti i due stranieri: il fortissimo difensore belga Eric Gerets e lo sconosciuto  centravanti britannico di origine giamaicana Luther Blissett. Il campo è separato dagli spalti da una cancellata nera oltre la quale non vi sono posti a sedere, ma una zona popolare denominata parterre dove si può assistere alla partita stando in piedi. Dietro le porte, in cui spicca il dettaglio della traversa che, nel congiungere i due pali non è perfettamente retta, ma descrive un lievissimo arco, vi sono tabelloni pubblicitari. Lì sono asserragliati fotografi e personaggi vari, infiltrati non si sa a che titolo, in quella zona per addetti ai lavori. Sulla sommità del secondo anello spicca il tabellone luminoso, simbolo di modernità, ormai da più di 15 anni. Il Milan schiera in campo, tra gli altri, Baresi, Tassotti, Filippo Galli e Alberigo Evani che, reduci da una stagione in serie B, fanno del loro meglio per disputare un campionato dignitoso agli ordini di Ilario Castagner, ignari del fatto che di lì a 10 anni diventeranno i senatori di una delle squadre più forti di tutti i tempi,  accumulando 4 scudetti e 3 coppe dei Campioni.

La formazione di casa scende in campo con la tradizionale uniforme rossonera a maniche lunghe in lanetta con sponsor tecnico Ennerre e sponsor di maglia “Olio Cuore”. La Sampdoria risponde con tradizionale divisa blucerchiata con medesimo sponsor tecnico e sponsor di maglia Phonola, storico marchio italiano dell’elettronica di consumo. Tra i liguri si nota in particolare la presenza di un giovanissimo Roberto Mancini alla seconda stagione in SerieA, ma le star della squadra sono ancora il portiere della nazionale Ivano Bordon e il fantasista Scanziani.

La partita è molto combattuta e divertente con numerose occasioni da una parte e dall’altra. I padroni di casa passano in vantaggio 2-0 con Carotti che in tuffo di testa segna il goal più bello della sua carriera e con Vinicio Verza, il giocatore di maggior tasso tecnico del Milan che, dopo un paio di dribbling, infila Bordon con un tiro imparabile scagliato dal limite dell’area. Quando mancano meno di quindici minuti al termine e i cancelli vengono aperti agli appassionati senza biglietto, che vanno ad affollare il parterre, la Sampdoria accorcia le distanze con un goal in scivolata del capitano Scanziani.

Al fischio finale si raccolgono i cuscinetti, che hanno reso più sopportabile la seduta di due ore sulle gradinate (soprattutto per gli occupanti il secondo anello sprovvisto di seggiolino), e si torna a casa con la radiolina vicina all’orecchio per ascoltare i risultati e i commenti delle altre partite, svoltesi tutte in contemporanea.

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Da lì a dieci giorni:

  • 23 Ottobre: un camion bomba esplode nei pressi di una caserma americana dei marines di stanza a Beirut uccidendone 241.
  • 25 Ottobre: Gli Stati Uniti invadono l’isola di Grenada per stroncare sul nascere la deriva filo-comunista del governo locale
  • 25 Ottobre: Microsoft rilascia la prima versione di Word per DOS.

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1940-1993: le città che non esistono

Alla fine del 1940 Stalin decise che l’Unione Sovietica dovesse sviluppare un programma nucleare su larga scala per vincere la corsa alla bomba atomica in cui tutte le principali potenze cominciavano a cimentarsi in quegli anni .

Per fare ciò, però, sarebbe stato necessario compiere uno sforzo organizzativo e logistico ragguardevole. Fu così deciso di creare città segrete che fornissero attraverso i loro residenti manodopera e competenze ai molteplici progetti di proliferazione nucleare (1).

Queste città, abitate per l’appunto da scienziati, tecnici, manutentori, operai, guardiani e dalle loro famiglie, sorgevano solitamente in zone isolate, ma vicino a un bacino o un corso d’acqua (necessari per il funzionamento delle centrali).

La loro definizione in burocratese era “entità amministrative territoriali chiuse” (acronimo russo ZATO). La loro particolarità era quella di non avere un nome, di non comparire sulle mappe o sui cartelli stradali, di essere recintate ed inaccessibili se non ai loro abitanti o a visitatori selezionati. Visitatori che necessitavano comunque di pass da presentare a uno dei checkpoint aperti sul loro perimetro.

Come detto, gli abitanti potevano entrare e uscire liberamente, ma non potevano parlare della loro città con altri cittadini russi (e men che meno con i pochi cittadini stranieri che circolavano all’epoca), pena l’incriminazione per tradimento.

Ciononostante, probabilmente attraverso i parenti degli abitanti o i funzionari di partito, si diffuse negli anni la voce dell’esistenza di queste entità, alle quali i russi comuni cominciarono a riferirsi con l’appellativo di “città casella postale”. L’unico modo di identificarle era infatti un codice postale che faceva riferimento a un fermoposta presso la città più vicina (a cui doveva essere inviata la corrispondenza per i cittadini della città-chiusa) e ne consentiva l’inoltro alla città chiusa.

Nonostante la condizione di diminuita libertà personale, la vita all’interno delle ZATO era una vita da privilegiati. I salari erano più alti del 20%, non vi era carenza né di varietà né di quantità di cibo, come purtroppo accadeva nel resto del paese, e i figli degli impiegati avevano accesso ad un’istruzione di primissimo livello, senza doversi spostare da casa. Pertanto, al loro interno si sviluppò nei decenni una sorta di sottocultura basata sull’orgoglio di far parte di qualcosa di speciale. Purtroppo, quello che gli abitanti delle città chiuse non sapevano è che la loro vicinanza alle centrali dove venivano sviluppati i “progetti” li esponeva quotidianamente ad una quantità di radiazioni che, a lungo andare, avrebbe nuociuto alla maggior parte di loro.

Già all’inizio degli anni ’80 le gerarchie sovietiche dovettero pensare che mantenere una segretezza formale su qualcosa di conosciuto da tutti fosse anacronistico o che fosse per qualche motivo venuta meno l’esigenza di segretezza. Decisero così di aprire alcune di queste città, tra le quali quella di Perm. La maggior parte però rimase segreta fino alla disgregazione dell’impero sovietico e oltre: di fatto fino alla nuova costituzione del 1993.

Attualmente in Russia ci sono 42 città un tempo segrete, che ora sono pubblicamente riconosciute, ma che continuano a mantenere lo status di territorialità speciale e che sono inaccessibili da parte degli stranieri. Tre quarti di esse sono amministrate dal Ministero della Difesa e un quarto dalla Rosatom. In esse vivono 1.5 milioni di persone.  Si pensa che ve ne siano alcune altre che ancora non sono state ufficializzate.

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In aggiunta alle città chiuse, nate per motivi bellico-militari, vi erano città chiuse per motivi  geo-politici, quali Kaliningrad e Saaremaa, poiché situate in zone strategiche o perché confinanti con paesi del blocco occidentale.

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Le città-chiuse sono un fenomeno che non riguarda solo l’Unione Sovietica, e ora la Federazione Russa. Ve ne sono state anche in Albania, in Sudafrica, in Cina e negli  Stati Uniti (soprattutto città funzionali al Manhattan Project).

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(1) terminata la guerra altre città vennero dedicate ai programmi spaziali.

Era già il 1999, ma ancora…

Si poteva fumare negli uffici, negli aeroporti, nei ristoranti e nei locali notturni;

Nel portafoglio avevamo le lire;

Roberto Baggio non aveva ancora segnato un quarto dei suoi goal in carriera (1);

Vittorio Gassman, Alberto Sordi e Nino Manfredi erano ancora tra noi;

Non esistevano l’ipod, l’iphone, l’ipad;

Il presidente degli Stati Uniti era Clinton, il presidente della Federazione Russa Eltsin;

Michael Schumacher non aveva ancora vinto neanche un mondiale-piloti alla guida della Ferrari;

Nella Top 300 di Forbes delle persone più ricche del mondo non figuravano Cinesi, né Russi (2);

Nokia, Motorola ed Ericsson detenevano quasi il 60% del mercato dei telefoni cellulari;

Il motore di ricerca Google era usato solo dal 7.8% degli utenti;

Ad Angela Merkel mancavano ancora 6 anni per diventare cancelliere;

Amazon.com era presente con un un dominio solo in USA, UK e Germania e cominciava proprio in quell’anno a vendere prodotti che non fossero libri;

L’unico social network esistente era SixDegrees.com;

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Nel 1999, con 8 miliardi di dollari di patrimonio stimato, Berlusconi era il 27mo uomo più ricco del mondo. Nel 2018, dopo innumerevoli oscillazioni, il suo patrimonio torna ad essere di 8 miliardi, ma ora è “solo” il 190° uomo più ricco del mondo.

(1) in Serie A, dal Settembre 1999 al suo ritiro nel 2004 ne ha segnati 51 su 220 totali.

(2) vi erano alcuni cittadini di Hong Kong, divenuti cittadini cinesi al cambio di sovranità del 1997, ma che avevano costruito la loro fortuna quando Hong Kong apparteneva al Regno Unito.

 

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Una giornata normale. Milano, Aprile 1970.

Ti alzi almeno un’ora prima dell’ora alla quale si alzeranno i tuoi figli alla tua età  all’inizio del nuovo millennio.

Se nella notte è accaduto un fatto importante (come l’avaria sull’Apollo 13) non hai modo di saperlo prima di aver comprato il giornale all’edicola sotto casa (quasi sicuramente il Corriere della Sera, Il Giornale e La Repubblica non esistono).
Qualora disponessi di un televisore (ce l’ha un italiano su cinque), accendendolo prima delle 11 di mattina troveresti su entrambi i canali RAI un’immagine fissa in bianco e nero, detta monoscopio.
L’unico modo di conoscere le notizie dell’ultim’ora è ascoltare il giornale radio RAI delle 7.

Se sei uomo, dopo esserti sbarbato con pennello, sapone e rasoio a doppio filo, una volta pronto, troverai la colazione che tua moglie ti avrà preparato, sia che sia una casalinga, sia che sia una delle cinque milioni di donne che lavorano.

Esci di casa per andare al lavoro e, essendo uno degli 11 milioni di italiani che possiedono un auto, anche se il tuo ufficio dista meno di due chilometri da casa probabilmente ci vai in automobile.  L’hai comprata da due anni pertanto c’è l’85% di possibilità che sia di marca italiana, l’avessi appena comprata la percentuale scenderebbe al 72% e, se fossi nel restante 28% , probabilmente avresti scelto una FORD.

Mettiamo che abiti in corso Vercelli e che lavori in una delle tante sedi centrali di banche che sorgono tra Piazza del Duomo e Piazza San Babila. Per andarci puoi percorrere via Dante e corso Vittorio Emanuele, non ancora pedonalizzate e, una volta arrivato a destinazione parcheggi l’auto per strada o sul marciapiede poiché non esistono né il parcheggio sotterraneo di Corsia dei Servi, né tantomeno quello di Piazza Meda.

In ufficio il tuo status è inversamente proporzionale alla quantità di tecnologia e persone che ti circondano. Se sei un capo, hai giusto un telefono, che nella maggioranza dei casi non sei neanche tu ad operare, ma la tua segretaria. Non hai mai neanche provato a pigiare i tasti di una macchina da scrivere e, quando tra qualche anno la banca comincerà a dotarsi di terminali che dialogano con il “cervellone”, non sarai certo tu ad usarli. Che tu sia capo o impiegato, l’accesso a strumenti informatici non ti viene distribuito, ma rimane confinato in quello che tutti chiamano ancora “centro meccanografico”, un luogo nel seminterrato che solo un manipolo di persone sanno come funzioni e in cui i dati (ancora per pochi anni) viaggeranno su schede di cartoncino perforate. Dati che a te verranno tradotti da qualcuno in formato intellegibile. Se fumi, puoi esercitare questa facoltà liberamente in tutte le aree della banca. All’ora di pranzo hai l’abitudine di tornare a casa a mangiare e di assopirti per dieci minuti sul divano prima di riprendere a lavorare verso le 14:30, ma dopo esserti cambiato la camicia, che nel frattempo sarà diventata grigia a causa dello smog e del fumo.

La tua giornata lavorativa termina tra le 17:30 e le 19, a seconda del tuo rango. In ogni caso in tempo non certo per “l’aperitivo coi colleghi”, ma per tornare di fretta a casa prima che cominci il “Telegiornale Sport” delle 19:45 o per andare a cambiarti e a prendere tua moglie perché, anche se è Aprile inoltrato e non è troppo chic farsi vedere a La Scala nella seconda parte della stagione, al Don Carlo non si rinuncia.

Se invece rimani a casa, dopo una cena servita al più tardi alle 20:15 e consistente di un primo, secondo con contorno, dessert, frutta e digestivo ti metti davanti alla tv a guardare insieme a tua moglie lo sceneggiato che le piace tanto, in totale relax, consapevole del fatto che nessuno avrà l’ardire di telefonarti dopo le 21, se non per avvisarti che hanno fatto saltare il caveau della banca.

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Giugno 1976

Il Presidente della Repubblica è Giovanni Leone, l’esecutivo è affidato ad Aldo Moro (in quello che sarà il suo quinto ed ultimo governo), a presiedere Senato e Camera dei Deputati ci sono rispettivamente Giovanni Spagnolli e Sandro Pertini.

Precedentemente, in quell’anno, Corrado presentò la prima puntata di Domenica in, l’OLP entrò a far parte delle Nazioni Unite, uscì il primo numero del quotidiano La Repubblica, il Concorde operò il suo primo volo passeggeri, in Argentina ci fu il colpo di stato militare che depose Isabel Perón ed Adriano Panatta vinse il Roland Garros.

Da un punto di vista cinematografico la cerimonia degli Oscar fa mostra di una serie irripetibile di capolavori. Basti pensare che concorreranno contemporaneamente per la statuetta più prestigiosa 1) Qualcuno volò sul nido del cuculo (vincitore); 2) Barry Lyndon; 3) Quel pomeriggio di un giorno da cani; 4) Lo squalo; 5) Nashville.

 

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Giugno 1988

Il Presidente della Repubblica è Cossiga, il governo è guidato da De Mita, Senato e Camera sono presieduti rispettivamente da Giovanni Spadolini e Leonilde Iotti.

Precedentemente, in quell’anno, venne rapito Cesare Casella, Alberto Tomba conquistò due medaglie d’oro alle Olimpiadi di Calgary, Massimo Ranieri vinse Sanremo con “Perdere l’amore”

Restando in tema di musica, a guidare la classifica dei singoli più venduti in Italia è “I don’t want your love” dei Duran Duran, in USA è “Faith di George Michael” e in UK “I should be so lucky” di Kylie Minogue, artista al debutto internazionale.

Top Pop Singles, USA, All Year 1988

 

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